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«La Storia è uno scandalo che dura da diecimila anni ha scritto Elsa Morante. In tanto tempo abbiamo smarrito la capacità di gridare all’orrore.»

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Venga pure la fine
Roberto Riccardi
edizioni e/o
Collana: Sabot/age
ISBN: 9788866323747
Pagine: 224
Data di pubblicazione: 25 settembre 2013
Prezzo di copertina € 16,50

 

 

Il tenente Rocco Liguori è stato inviato all’Aia con l’ordine di indagare sul presunto suicidio del colonnello Dragojević, condannato dal Tribunale Internazionale per il massacro di Srebrenica e altri eccidi commessi fra il 1992 e il 1995 nel territorio della Bosnia-Erzegovina. È inevitabile per il tenente tornare indietro di sette anni, a quando era stato uno dei protagonisti della cattura del colonnello. Nel corso delle nuove indagini Liguori ritrova molte conoscenze di un tempo, compresa Jacqueline l’affascinante funzionaria della Croce Rossa con cui aveva intrecciato una relazione rimasta in sospeso. Il loro rapporto, fatto di sentimenti costantemente in bilico, riprende fra incomprensioni e parole non dette. Nel frattempo Liguori instaura una meno compromettente love story con Jelena, bosniaca musulmana, un’infermiera che ha lasciato da poco il reparto dove è ricoverato il colonnello. Due storie diverse ma legate entrambe all’indagine che Liguori porta avanti con ostinato senso del dovere e di giustizia sopra le parti, anche a costo di non seguire gli ordini che arrivano dall’alto, non sempre avulsi da trame e giochi di potere.

Le vicende dei singoli individui si intrecciano con quelle delle organizzazioni internazionali, dei governi, di ribelli e pacifisti, forze di polizia, medici e criminali di guerra, in un percorso a tappe che tocca le città europee con la loro scia di storia, di politicanti, di tribunali, orrori, intrighi. Un rincorrere la verità che non ha mai una sola faccia e che lascia un sapore amaro di sconfitta.

Il colonnello Dragojević, per giustificare gli orrori commessi, si serve delle parole di Elsa Morante nel libro La Storia, un libro che il tenente gli ha consigliato di leggere. Il colonnello afferma: «… anche per me la storia è una sequenza di orrori … noi uomini ci illudiamo di contare qualcosa, ma non siamo che pedine sull’immensa scacchiera della terra. Non decidiamo niente

Venga pure la fine, un romanzo costruito intorno alla cruda realtà della guerra, ci pone di fronte al problema delle colpe dei carnefici che, nell’espiare la condanna, possono diventare vittime a loro volta. La consapevolezza di questa tragica presa di coscienza traspare in ogni pagina. Con il procedere dell’indagine il tenente Liguori si fa carico delle conseguenze estreme a cui lo portano le vie contorte che deve seguire per arrivare alla verità.
Leggere il romanzo e cercare di comprendere il suo messaggio è un tutt’uno, e non si smette se non quando ogni tassello è al suo posto «perché è solo quando tutto finisce che incomincia davvero qualcosa».
Ma nel suo inseguire la verità, nel sollevare il velo che copre trame e delitti, nel trattare temi al limite della provocazione, la costruzione narrativa finisce per viaggiare prevalentemente sul binario della razionalità mettendo all’angolo il trasporto emotivo che pure l’autore cerca in tutti i modi di far emergere, ma che rimane come cristallizzato.

Lasciamo la parola a Roberto Riccardi

Riccardi«Tutti i miei libri sono pezzi di vita, il che non vuol dire scrivere dei saggi sui fenomeni criminali o sulla guerra, ma significa metterci dentro l’aria che hai respirato, i sentimenti provati. Ho visto altri volti in Bosnia, ed erano quelli di persone come me, e mi sembrava incredibile che persone della mia generazione avessero attraversato un fenomeno come la guerra. Per me la guerra era sui libri di storia, era i racconti dei nonni, i documentari, i film. Qualcosa di lontano dalla mia vita, una cosa che non mi riguardava. Invece, attraversi l’Adriatico e ti accorgi che la guerra è in mezzo a noi. Cammini per le strade, vedi ragazzi senza un braccio, una gamba, mutilati e ti chiedi perché? Chi è che decide, chi è che agisce? Spesso sono pochissime persone. La Storia ce lo insegna, sono pochi a decidere e di solito in battaglia sono altri poi a morire. Però ci sono tanti che stanno in mezzo e che obbediscono perché è il loro mestiere e perché le circostanze eccezionali cambiano tutto, rovesciano la prospettiva. Nella normalità delle cose uccidere è un crimine, invece in guerra, per molti, uccidere diventa un dovere, qualcosa che si deve fare. È veramente terrificante. Ho parlato con ufficiali serbi che avevano combattuto e avevano responsabilità anche di atti criminosi. A un certo punto nella loro testa era scattato qualcosa ed erano andati oltre il dovere. Ma quando scatta il crimine? È la guerra stessa un crimine. Non è facile tenere il timone in mezzo a una tempesta come la guerra. Tu sei in uniforme con i tuoi gradi e c’è un tuo superiore che ti dice andiamo, dobbiamo fare questo. Si entra in un villaggio, si comincia a sparare. Prima spari sui soldati, poi però non spari più solo su loro. Io questa difficoltà in qualche modo l’ho letta in occhi diversi dai miei e mi sono rimasti dentro quegli occhi. La domanda che porgo ai lettori come punto di riflessione e da cui non mi libero è: ma in una situazione così io cosa farei, dove mi fermerei, dove potrebbe arrivare la mia coscienza e dove invece prevarrebbe il conformismo di stare in un sistema, di avere addosso un uniforme che è uguale a quella di altri. Esistono una serie di convenzioni belliche internazionali siglate da tanti paesi che tracciano dei confini. Noi veniamo da un passato in cui addirittura il saccheggio, la violenza indiscriminata sui civili sulle donne era tutto bottino di guerra, era addirittura il modo per pagare i soldati.

E siamo arrivati a mettere una serie paletti quali: non si bombardano le città d’arte, non si distruggono i monumenti, non si spara sulla popolazione civile. Una serie di regole, bellissime lette sui libri, sui testi delle Convenzioni, ma sono difficilissime da applicare, perché la bomba più intelligente produce sempre l’effetto collaterale. Io sono andato su questo tema con i due personaggi del tenente Liguori e del colonnello Dragojević, che sono un po’ la luna e il sole e sono andato sul tema della giustizia internazionale. I Tribunali Internazionali nascono dopo la Seconda Guerra Mondiale con i processi di Norimberga e di Tokio però anche se quei processi puniscono efferati crimini di guerra, vanno verso un’unica direzione, sono i vincitori che processano i vinti.»

La forza di questo libro è nel porci interrogativi contraddittori. In guerra esiste sempre una motivazione per uccidere? La ragione è sempre dalla parte dei vincitori? «… la patente dei buoni non l’ha mai avuta nessuno.» dice a un certo punto Jelena. E se fare letteratura non vuol dire essere consolatori ma porsi delle domande, anche provocatorie, allora questo libro ha tutti i titoli per dirsi letteratura.

L’autore

Roberto Riccardi è colonnello dell’Arma e direttore della rivista «Il Carabiniere». Ha lavorato per anni in Sicilia e Calabria e ha comandato la Sezione antidroga del Nucleo investigativo di Roma svolgendo indagini in campo internazionale. Ha esordito nel 2009 con Sono stato un numero (Giuntina) a cui è seguito il thriller Legame di sangue (Mondadori, 2009), il romanzo storico La foto sulla spiaggia (Giuntina, 2012) e il giallo I condannati (Giallo Mondadori, 2012). Per le Edizioni E/O è uscito nel 2012 Undercover.

Giusi R.

Incontro con i protagonisti della collezione Sabot-age, edizioni E/O, diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto, nell’ambito del primo weekend noir, organizzato dalla libreria Ubik di Monterotondo.

Una collana dedicata alle storie che il nostro Paese non ha più il coraggio di raccontare. «Di Sabot/Age e’ possibile una doppia lettura: “sabotaggio” ed “Era del Sabot”, lo zoccolo di legno che, ai tempi della rivoluzione industriale, veniva lanciato dagli operai negli ingranaggi delle macchine quando erano esausti. Noi siamo esausti della menzogna che ci opprime.» (Dalla presentazione di Massimo Carlotto)

Hanno presentato la Collezione

L’Editor delle edizioni E/O Claudio Ceciarelli

Gli scrittori

Carlo Mazza con Il cromosoma dell’orchidea

Piergiorgio Pulixi con La notte delle pantere

Eduardo Savarese con Le inutili vergogne

Roberto Riccardi con Venga pure la fine

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Ha coordinato l’incontro Marco Piva

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Presentiamo questa sera un gruppo di autori seri, talentuosi, uniti in un progetto mitico nato da un’idea di Colomba Rossi e Massimo Carlotto. Una serata di grande festa da vivere insieme, perché gli unici veri destinatari dei racconti sono i lettori. Sabot-age come sabotaggio, rottura, distruzione dei paletti che riducono il nostro ventaglio di interesse e dimostrano l’importanza della categoria di genere.

Come è nata questa collana e quali sono le finalità e gli obiettivi?

Claudio Ceciarelli – Sono un editor e mi occupo di seguire il lavoro degli autori prima della pubblicazione. Per la collezione Sabot-age i primi due titoli sono usciti nel 2011 sono stati  La ballata di Mila di Matteo Strukul e Lupi di fronte al mare di Carlo Mazza. Sono poi usciti Una brutta storia di Piergiorgio Pulixi e Sinistri di Tersite Rossi.

Finora sono stati pubblicati tredici titoli, tutti nati da una riflessione sull’urgenza di costruire un contenitore editoriale che non fosse una gabbia per gli autori. Venivamo da un periodo di sovraesposizione e quasi banalizzazione del “genere” noir – poliziesco. L’idea era creare un corto circuito rischioso puntando sulla letterarietà del racconto e le qualità umane dello scrittore.

Il primo autore a presentare il suo libro è Carlo Mazza, barese di nascita, bancario di professione. Con Il cromosoma dell’orchidea, suo secondo romanzo della Collezione Sabot-age, scandaglia in maniera profonda nel malcostume politico italiano. Il cromosoma dell’orchidea fa riferimento all’abuso edilizio indiscriminato che ha causato forti rischi di natura idrogeologica.

Un problema che è molto diffuso. Non ho parlato in modo esplicito di Bari, ma ho citato una probabile città del sud. Spesso vengono descritte storie che possono avvenire ovunque, poi si localizzano e alla fine si lascia intendere, anche tramite un piccolo particolare, che quella è una realtà tipica di una determinata città. Non aver indicato una realtà specifica ha prodotto invece uno strano risultato. Quando presento il libro spesso mi viene chiesto se, quando ho scritto questa storia, mi sono ispirato in modo particolare alla loro realtà cittadina. Ma questa identificazione non è merito mio, le storie di rischio idrogeologico sono tutte uguali.

Piergiorgio Pulixi ha esordito con Una brutta storia che, come racconto noir, è una botta di adrenalina. La notte delle pantere prosegue le gesta della squadra guidata dal corrotto ispettore Biagio Mazzeo.

L’ambientazione non è specifica, quelli in cui si svolgono le mie storie sono “non luoghi”. Scrivo polizieschi e il mio autore di riferimento è Ed McBain con la sua serie di romanzi dell’87º Distretto. Lui non localizzava in una città reale le sue storie e diceva che lo faceva per avere una maggiore libertà, per non avere limitazioni dal punto di vista narrativo. Non volevo che il luogo prevalesse sui personaggi. Per questo motivo chiamo la città immaginaria “giungla”.

Roberto Riccardi presenta Venga pure la fine seguito della saga del tenente Rocco Liguori. La missione del tenente Liguori è investigare presso il Tribunale dell’Aja sul colonnello Milan Dragojevic, accusato di crimini di guerra. Questo libro contiene messaggi che sono come macigni: in guerra esiste sempre una motivazione per uccidere.

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Napoletano, scrittore, magistrato, finalista al Calvino 2012 Edoardo Savarese presenta il suo romanzo Le inutili vergogne. Con un libro così è come spingere il piede sull’acceleratore. Emerge nella sua produzione letteraria l’importanza dei ricordi. Nel rivivere e rinnovare un ricordo non c’è il rischio di rimanere ancorati al passato o uno stimolo di rivincita?

Il tema della memoria mi è molto caro, con il tema della guerra, delle stragi, del genocidio, ma credo che i personaggi di questo romanzo, come tutti, devono fare i conti con la memoria per liberarsene.

Una domanda all’editor Claudio Ceciarelli. Nel percorso della costruzione di un romanzo, quello dell’editor è un ruolo cruciale. Quali sono le modifiche necessarie da apportare a un testo senza snaturarlo?

Questo è l’aspetto più bello e difficile di questo lavoro. Io ho un’attitudine esageratamente ripiegata su me stesso. La mia non è una volontà di sovrapposizione ma di maieutica socratica, intesa come arte di aiutare.
Nella pagina iniziale di un libro ogni parola pesa una tonnellata in più perché l’autore non ha ancora acchiappato il lettore. Di solito gli editor sono essi stessi scrittori, ma in questo caso crescono quei pericoli di sovrapporsi allo scrittore, pericolo che non esiste per chi fa un altro tipo di mestiere.
Mi capita anche di sbagliare, ma sempre in buona fede e la quadratura del cerchio è che l’autore alla fine deve sentire il libro ancora più suo. Preferisco l’editing a distanza con segni in vari colori per le segnalazioni.

E se anche noi lettori riusciamo a cogliere in tutti loro stili e sfumature diverse vuol dire che ciò che l’editor ha detto è vero. Ora una domanda che potrebbe sembrare provocatoria. Parlare d’amore nei racconti noir è possibile?

Carlo Mazza – Parlare d’amore nei polizieschi è quasi vietato, ai lettori di questo genere non piace. A me è sembrata una regola così rigida che ho pensato di superarla.

Parlare d’amore per la “pantera” di Piergiorgio Pulixi è difficile, ma c’è tanta tenerezza in questo libro. Il senso di protezione nei confronti della squadra che Biagio prova, fa nascere quel senso di empatia per un personaggio che in fondo è un bastardo.

Piergiorgio Pulixi – L’amore è il motore della storia anche se è bandito nel mondo criminale, ma c’è. La saga si basa sull’amore anche se può sembrare un paradosso, è un mondo violento ma l’amore rappresenta la luce nel fondo del tunnel. È bello vedere come l’amore li cambia, li forgia o come c’è la rinuncia all’amore. I miei romanzi sono viaggi emozionali.

Anche per Rocco Liguori, il personaggio creato da Roberto Riccardi, amare non è facile, perché deve spostarsi continuamente. Secondo te è possibile per agenti impegnati in compiti così delicati vivere un amore stabile?

Roberto Riccardi – Non solo è possibile ma addirittura necessario. Nella poesia “Veglia” il poeta Giuseppe Ungaretti ci rende fortissima l’immagine del soldato che veglia il suo compagno morto. Sono diventato un autore perché la persona che amo ama leggere è una cosa da cui non prescinderei mai. Il cammino umano è talmente complesso che non si può affrontarlo da solo.

Eduardo Savarese nei suoi romanzi ci racconta di amori sofferti, travagliati, anche non vissuti. Vale la pena amare anche in determinate circostanze?

Gli amori di questo romanzo sono molto disturbanti. C’è anche tanto amore verso Dio e c’è la scena d’amore davanti all’immagine sacra. La tragedia ci rassicura sempre. C’è una dimensione nobile nella tragedia. Nei miei romanzi c’è invece una parte cinica, grottesca.

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Un incontro non convenzionale quello con gli autori della Collezione Sabot-age, affollato di scrittori di talento. Per apprezzarli al meglio non resta che leggerli.

Giusi R.