Post di Giusi Radicchio

Titolo: Storie dell’altrove

Sottotitolo: Racconti forse che sì, forse che no

Autore: Franco Piol

Editore: Scatole Parlanti

Collana: Voci

Prezzo di copertina:  Euro 15,00

In commercio dal: 14 ottobre 2022

Pagine: 172 p., Brossura

EAN: 9788832815221

I RACCONTI DELL’ALTROVE

I racconti
Le raccolte di racconti in Italia non sempre hanno avuto il giusto riconoscimento, né da parte del pubblico, tanto meno degli editori, nonostante la riconosciuta tradizione letteraria italiana.

Storie dell’altrove non lascia dubbi su quanto stiamo per leggere: un libro fatto di storie che raccontano un mondo scomparso, oltre l’altrove, ma che ritroviamo sfogliando, una dopo l’altra, queste pagine. La lettura coinvolge e trascina in quella che possiamo considerare come la cifra narrativa di Piol, nella capacità di alternare prosa, poesia, canto, teatro.

Una struttura ben organizzata, per dare modo al lettore di non disorientarsi e apprezzare il contenuto poliedrico di “racconti forse che si, forse che no”, come recita il sottotitolo.

Dieci storie, ognuna degna di un suo titolo e di un epigrafe d’autore, per introdurre il racconto con le assonanze giuste, rispetto alla definizione di altrove.

Chiude ogni storia la dedica a un amico, un familiare, a conferma che queste pagine non sono altro che la vita, rappresentata in ogni sfumatura e colore così come un dipinto.

E proprio per per dare risalto alla pittura, Franco Piol ha voluto doppiamente omaggiare l’amico Giancarlo Bellisini, un artista che purtroppo ci ha lasciato troppo presto, riproducendo un suo dipinto come immagine di copertina, oltre a dedicargli un racconto, visto come sintesi prospettica del loro incontro in questa vita, e nell’altrove. A mio giudizio il racconto più visivamente poetico.

Quel rosso e quel giallo trasudanti

L’arrivo inaspettato di un invito alla retrospettiva del pittore Gianmaria, con i suoi colori rossi e gialli trasudanti, porta il vecchio amico a riflettere sul tempo che scorre veloce e si trascina via la vita, ma che non mancherà di presentarsi immutabile nell’altrove.

L’anziano narratore si onora di rispettare l’invito. La giornata è fredda e lui raggiunge l’ingresso laterale del Palazzo delle Esposizioni, un portoncino malandato che si apre con la sola pressione della mano: lo accoglie il buio e nient’altro, poi una lunga fila di quadri informi e incolori, ma basta avvicinarsi perché una luce folgorante accenda lo spazio nel suo allargarsi, ritrarsi, estendersi, per esplodere infine nei colori della galleria: il blu di un’onda gigantesca, cenni di rosso e di giallo intrecciati con fili d’argento, mutevoli paesaggi marini, il circo e il barrito di Ludmilla, il violinista e l’orchestra, incompiuti versi e le parole di Perfect day a chiudere lo spettacolo.

Il TITOLO: Storie dell’altrove

Dice l’autore: “L’altrove un termine aperto ad ampie interpretazioni, richiede una definizione simile a un labirinto. È come essere catapultati in un meandro a cercare risposte e non trovarle, o anche trovarne tante. L’altrove è una sottile linea inesistente che separa la realtà da quello che sai e credi di sapere, da quello che sei e credi di essere. Oltre quel confine trovi quanto volevi dire e non hai detto, quanto avresti voluto fare e non hai fatto, la vita che avresti voluto vivere e non hai vissuto, quello che avresti voluto tanto amare e non hai amato.

La linea allora è simile alla luce che si spegne e si accende e si riesce a immaginarla o soltanto a metterla a fuoco appena per un attimo, in bilico tra luce e buio, sospesa tra la musica dell’universo e la poesia”.

I TEMI

Di cosa parlano le storie dell’Altrove, quale il filo conduttore che le lega? Sono storie che non hanno il pathos dei drammi né introspezioni psicologiche, ma fanno riflettere, trasmettono leggerezza e un trasporto emotivo capace di rendere fluida e coinvolgente la lettura.

Spesso questa leggerezza, in termini di valori narrativi, ha inviato al paragone con Calvino che, nelle sue Lezioni Americane, scrive: « leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore».

I personaggi dell’altrove sono gli emarginati, capaci anche loro di entrare in punta di piedi in uno scenario costruito con abile maestria, perché anche agli ultimi sia concesso di lasciare un segno, un ricordo, un’immagine a rilievo fatta di luci e ombre, di bene e male, di reale e fantastico, così come avviene per per i racconti di un grande maestro come Buzzati capace, con abile tecnica di smontare il banale quotidiano, quello che appare come reale, per addentrarsi nella verità che in esso si nasconde.

Ma chi sono questi ultimi, in quali spazi muovono le loro storie? Difficile soffermarsi solo su alcuni di loro perché tutti hanno dignità di protagonisti.

Presenze

A presentarsi per primo è il signor P. Gli fa da cornice il mondo poetico in cui si è rinchiuso, con la dolce signora Zanon che lo accudisce, la piccola Mariuccia, l’alunno Menichetti simpatico e irriverente, la tartaruga Masina, i fiori del giardino. Siamo davanti a un delicato quadro in cui risalta la figura di questo insegnante mentre rientra tutti i giorni in casa. Il signor P si sente come perseguitato da una presenza, da qui il titolo, a cui non riesce a dare una forma se non rispecchiandola in Giselle, una leggera farfalla che svolazza danzando in casa e sui fiori. Lei gli fa compagnia, lui le racconta la sua storia sulle note di un long play, ultimo regalo della sua amata Arianna. E così fra un verso poetico e una melodia Giselle gli allevia la solitudine.

Ite missa est

Esemplare, per il suo simbolico oscillare fra reale e surreale, è il quarto racconto, Ite missa est, introdotto dall’epigrafe lapidaria di A. Camus: Ciò che importa è altrove.

Il nostro “cantastorie” per allestire la sua teatrale messinscena sceglie ‘La Basilica’, sfondo adeguato a un cerimoniale religioso, e ne inserisce i protagonisti: sua Eminenza avvolto in un enorme drappo rosso, le monache angeli neri, il coro degli adolescenti che spiccano sul bianco del marmo. Rosso, nero, bianco, tre colori fortemente simbolici, come sempre più simbolico diviene il racconto nel suo procedere.

Le monache, umili e servili verso sua Eminenza, diventano torve e minacciose nei confronti del coro fra cui spicca Maria, seducente fanciulla dai capelli biondo-rame. Fino a quando il giovane coro si ribella alla sacralità del luogo e lo sfida con un canto profano a cui fa eco la madre superiora intonando il Cantico dei cantici in un parossistico crescendo. A partire da questo momento lo stesso linguaggio lessicale attinge a termini sempre fortemente simbolici come ‘alto tradimento, strategia della tensione, depistaggio’ dove il peso delle parole richiama uno specifico clima politico e nulla è lasciato al caso, mentre alle figure negative l’autore non lascia scampo né via salvifica.

Lezione al Forlanini

Il protagonista del racconto Lezione al Forlanini è sempre un giovane insegnante che opera nella struttura ospedaliera negli anni in cui la tubercolosi è ancora una malattia mortale. In quegli anni si sperimentavano nuovi protocolli che ribaltavano il concetto della malattia e ai pazienti era concesso ampio spazio al movimento, come la corsa, o il nuoto. Con queste procedure abbinate a nuovi farmaci si dava ai ragazzi una certezza di guarigione. Emerge da questo racconto, come spiega l’autore, la contrapposizione tra gli ‘esterni’ e i ‘ricoverati’, una frattura insormontabile perché gli esterni erano gli altri, l’altrove, quelli che godevano di tutto: della salute, della libertà, della gioia, della famiglia, mentre gli interni si sentivano prigionieri della malattia, relegati in quella che sentivano come prigione.

I malati accoglievano gli ‘esterni’ con il sorriso, ma nel loro intimo odiavano quello che rappresentavano e quanto a loro era negato. La realtà all’interno della Casa di cura sottolineava questa separazione e la battaglia fatta dagli operatori consisteva nell’avvicinare questi due mondi per riuscire ad abbattere una barriera quasi insormontabile.

Nel momento in cui il giovane e poetico protagonista del racconto giunge al Forlanini lo accoglie una pioggia battente e lui sublima l’evento atmosferico ascoltandone il ritmo, riportandolo in versi per imporre poi ai suoi studenti il silenzio, l’ascolto dello scroscio dell’acqua e il fare attenzione a quello che ha da suggerire la pioggia o il sussurrare degli alberi.

Vi chiamerò allora Primavera, color del muschio tenero,della viola timida, dell’albero germogliato, mentre cantate di un’estate a venire , guardandovi il petto scarno, l’osso malato. E quel vostro gemito raccoglierò e lo farò mio, anime inquiete, rapprese piangendo una serena pensa, un fremito di lontana ebbrezza che già sapete non potervi sfiorare più.

Maternale

A introdurre il racconto Maternale, quello più viscerale, abitato da uno dei personaggi più umani e spiazzanti della raccolta, sono le parole di Giorgio Caproni

Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai.

Una madre alle soglie della morte svela al figlio un segreto sul padre da lui mai conosciuto. La madre però non spiega, lascia al figlio l’eredità del dubbio. Chi sarà davvero questo padre, chi potrebbe essere? Questo il nocciolo del racconto, un punto interrogativo sospeso. Il figlio nonostante la bugia non ha mai sofferto l’abbandono; la madre gli ha raccontato la storia bellissima di un padre eroe di guerra, perché crescesse con questo riferimento ideale da trasferire ai figli, in modo da avere la conoscenza di un nonno di cui andare fieri.

Questa storia lascia domande sospese, non concluse, volendo fare il verso a Pirandello. L’autore lancia il sasso, l’interrogativo incerto e poi si nasconde, per riflettere lui stesso, provare a dare una sua interpretazione o risposta in base al proprio vissuto e allo stesso tempo dare a chi legge la possibilità interattiva di sentirsi protagonista, perché come si dice: l’autore non dà risposte ma pone quesiti.

AMBIENTAZIONE

Circoscritti nella città di Roma, con la sua periferia desolata, gli ambienti in cui si muovono i personaggi dell’Altrove hanno connotazioni diverse nel loro rispecchiare il personaggio, nella personale visione del proprio esistere. E così l’autore con i tre racconti delle Madonnare dipinge un’ambientazione tanto lontana nel tempo da sembrare irreale.

Le madonnare del Rione Ponte

Alla sora Cencina e alla sora Betta sono intitolati due racconti, ma le madonnare del Rione Ponte sono tante, Giulia la Nasona, la sora Cesira (la pizzettara), Memma l’ostessa, la sora Carolina, Menica la strabica, Vittoria detta ‘a fatalona. Ciascuna ha una sua storia e ogni storia sbuca da un angolo del Rione Ponte: da via dei Coronari a Tor di Nona, da via de Banchi Vecchi a via di Panìco. Le Madonnare sono tutte pronte per il pellegrinaggio al Santuario del Divino Amore per l’annuale ringraziamento alla Madonna.

A fine lettura rimane la visione di una periferia lontana, scomparsa anche lei nell’Altrove.

L’AUTORE franco-piol-1

Franco Piol, operatore culturale presso la Regione Lazio, già giovanissimo si dedica alla scrittura; compone diverse raccolte poetiche e racconti brevi. Alla fine degli anni Sessanta inizia la sua avventura nel teatro come regista e attore. Nel 1968 Piol incontra Roberto Galve, pittore, grafico e regista argentino, col quale nel 1971 fonderà lo storico Gruppo del Sole, prima realtà romana di laboratorio permanente di animazione artistica e teatrale, radicato sul territorio della grande periferia romana.
Dal 1975 Franco Piol diviene autore di tanto teatro per ragazzi, avvalendosi di collaborazioni autorevoli. Dal 2008 si dedica nuovamente alla poesia pubblicando brani sparsi in molte antologie fino a pubblicare nel 2013 Poetesie in concerto per “i tipi” delle Edizioni Libreria Croce, intensificando il settore di racconti brevi editati, anche questi, in molte apposite antologie. Nel dicembre 2016 con Alter Ego Edizioni pubblica Tana libera tutti e nel dicembre 2017 Gente del tempo che verrà. Nel dicembre 2018 Teatro monello, raccolta di testi teatrali dedicati ai bambini.

 

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