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Ritornano i consigli di lettura di Maria Civita D’Auria.

Si tratta questa volta dell’esordio letterario di Barbara Chiappa, già premiata per i suoi racconti, che si cimenta per la prima volta con la forma romanzo, dando un’eccellente prova di scrittura.

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L’INGORDA

Autore:  Barbara Chiappa

Edizioni: Ianieri

Collana: Notturni

Formato: 13×21 cm

Edizione: novembre 2021

Pagine: 216

Prezzo: 17 euro – formato Kindle 9,99 euro

ISBN: 979-12-80022-79-0

Leggi un estratto

L’Ingorda è il romanzo di esordio di Barbara Chiappa, di carattere storico, ispirato alla vita di Louise Weber, in arte “La Goulue”.

La famiglia di Louise

Louise Joséphine Weber (1866-1929) nasce a Clichy-la-Garenne nel Basso Reno, e vive un’infanzia e un’adolescenza difficili. La madre Madelaine Coutade fa la lavandaia. Ogni mattina, con il suo sacco pieno di panni dei signori da lavare, si dirige verso la riva della Senna insieme ad altre lavandaie che maledicono il mondo intero. Madelaine ha ribrezzo per questo lavoro e odia suo marito per la vita che è costretta a fare. Però non si rassegna e spera in una rivincita. Dagobert, il marito, è un uomo bonario e un bravo carpentiere. Tutte le sere torna a casa sporco di malta e calce, peccato sia sempre completamente ubriaco. E questo comportamento scatena l’ira di Madelaine. La piccola Louise ha una sorella di nome Marie Anne, molto composta e dedita alle faccende di casa. Il fratello Henry, invece, è una testa calda e dà fastidio a chiunque, soprattutto a Louise che chiama culona.

L’abbandono

In effetti Louise è una bambina un po’ paffuta e goffa. Di questi tre figli, Louise è la meno amata, anche se è quella che sente più bisogno di affetto. La madre, che non corrisponde tutto questo amore, è la sorgente di quel senso di vuoto che accompagna Louise per tutta la vita amareggiando la sua esistenza. La madre, oltre ad essere lavandaia, consegna a domicilio i panni stirati nelle case dei signori, confezionandoli come dolci di pasticceria. Una mattina Madelaine bussa alla porta di un cliente nuovo, il signor Chambres, un uomo non giovane, scuro di capelli, un po’ grasso; con lui entra subito in confidenza anche se l’uomo, in breve tempo, mostra l’intenzione di sedurla. Madelaine non rifiuta le sue avance e i due continuano ad amarsi per diverso tempo. Ben presto Madelaine forma una nuova famiglia con il signor Chambers, e dal loro rapporto nasce una bambina. Questo nuovo evento la porta, in un giorno qualunque, a lasciare i suoi tre figli e il marito, fonte di tanta infelicità.

Il talento per il ballo

Dagobert cerca di essere un buon padre tanto che asseconda le inclinazioni della figlia per il ballo. Louise per tutto il giorno si lancia in piroette, passetti e salti e presto partecipa a uno spettacolo per l’infanzia all’Élysée Montmartre, patrocinato dall’attrice Céleste Mogador e dal già celebre Victor Hugo, dimostrando un precoce talento per il ballo e la Mogador invita il padre di Louise a farle continuare gli studi di danza. Così la ragazza comincia a sognare di diventare una vera ballerina. Ben presto però accade un fatto inaspettato per i Weber.

Dallo zio paterno

Dagobert nell’estate del 1870 viene reclutato per combattere nella guerra contro la Prussia. I tre bambini vengono affidati a un istituto religioso, quello delle suore della carità in Rue Du Bac dove trascorrono un periodo abbastanza felice. Louise ama molto le suore per cui è contenta di questa sistemazione. Però Dagobert viene ferito in battaglia e subisce l’amputazione delle gambe, ma non sopravvive. Così i tre fratelli si trasferiscono a Saint-Ouen a casa dello zio paterno Georges. Quest’uomo è solo, non si è mai sposato, forse anche a causa di una menomazione al braccio sinistro dovuta alla poliomielite, che gli ha evitato l’arruolamento. Lo zio Georges con i piccoli Weber cerca di formare una nuova famiglia, ma Henry si rivela sempre più ribelle e trova di continuo occasioni di litigio. Così viene allontanato da Saint-Ouen. Lo zio diventa molto tenero con le nipoti, ma la notte le molesta chiedendo loro delle prestazioni sessuali. Louise pensa che questo è lo scotto da pagare per la permanenza in casa del parente, che si è offerto di accogliere le due orfanelle.

La fuga a Parigi

Louise non vuole stare al  gioco dello zio e decide di andare via. Quando giunge a Parigi è Jean che le offre il suo aiuto, lo ha conosciuto quando aveva 13 anni e il giovane faceva ancora il “soldatino”. Jean le trova una piccola stanza in cui alloggiare, addossata al Sacre Coeur. Iniziano a stare insieme ma a causa delle velleità di Louise, che vuole frequentare locali notturni e ballare, la convivenza finisce male. Louise comincia nuovamente ad avvertire quel senso di vuoto già provato durante i primi anni della sua vita che ha cercato di colmare con il cibo e con il sesso, passando tra le braccia di tanti uomini.

Mouline de la Gallette

Tra questi c’è Charlot, che le apre le porte del successo. Questi è un ragazzo grosso, muscoloso che Louise conosce al Mouline de la Gallette, uno dei locali più peccaminosi della città. Qui l’atmosfera è spensierata e allegra. Si mangia, si bevono fiumi di vino, si canta e si balla e si ascolta musica. Inizialmente Charlot le fa da accompagnatore e ballano insieme quasi tutto il giorno. Louise ama questi locali, perché è grazie a questo clima che può dare sfogo alla vivacità del suo carattere. Si lancia nelle quadriglie, cominciando anche lei ad alzare la gamba in galop, movimento con il quale le più sfacciate lasciano intravedere la sottogonna di pizzo e trine. Presto Louise va a vivere con Charlot e grazie alle sue conoscenze posa per il famoso pittore Renoir. Un giorno mentre balla, come sempre al Moulin de La Gallette, viene notata da Ferdinando Beert, in arte Fernando che vuole Louise come ballerina per uno dei suoi numeri al circo di cui è direttore. Louise accetta molto volentieri. Pochi giorni dopo, sul fondo dei cartelli che tappezzano i muri di Parigi, tra gli altri artisti, compare anche il suo nome.

L’incontro con Touluse-Loutrec

Tra un ballo e l’altro, diventa famosa in città e presto torna al Mouline de la Gallette come ballerina ufficiale. Adesso Louise è sempre più disinvolta, mostra le gambe nude sotto i merletti della sottana e provoca gli uomini che si trovano tra il pubblico, facendo volar via i loro cappelli dalla testa con un movimento secco del piede. A questo punto conosce Touluse-Loutrec, il petit home, artista proveniente da una delle migliori famiglie di Parigi che si è insediato nel discutibile quartiere di Montmartre. Presto comincia a frequentare il suo atelier, perché ne diviene la modella. Dopo aver posato per Renoir, nota la profonda differenza di carattere fra i due artisti. Mentre il primo si è dimostrato chiuso e freddo, Touluse non fa altro che parlare, ridere e scherzare. I due diventano grandi amici.

La Goulue al Moulin Rouge

Touluse vuole far ballare Louise al Moulin Rouge che ha aperto i suoi battenti il 6 ottobre 1889. Per la gioia dei due uomini d’affari Joseph Oller e Charles Zidler il locale diventa il più grande ritrovo notturno della capitale. Ai piedi delle colline di Montemartre il locale è riconoscibile tra mille perché è completamente rosso ed è un mulino dalle grandi pale mobili. Anche l’interno è lussuoso ed eccessivo. Per l’esibizione di Louise, Toulouse ha preparato un manifesto dove la donna è raffigurata su fondo giallo, circondata da silhouette nere con il nome Goulue scritto al centro. Louise mentre balla è spettacolare, e coinvolge il suo pubblico. Passa tra i tavoli, siede sulle ginocchia degli uomini, beve dai bicchieri mezzi pieni. Il pubblico maschile va in visibilio. Si alza in piedi, batte le mani e urla: “Goulue, Goulue!” Quando Louise si ritira nel camerino prende coscienza che ormai è una donna molto lontana dalla piccola giovane fanciulla, un po’ goffa e impacciata che si affacciava sui primi palcoscenici. Ormai è la Goulue, l’ingorda, ed è la regina del Can-Can.

Una volta coronato il suo sogno, quale sarà la vita di Louise Weber?

La storia dell’ingorda si rende interessante per il modo di affrontare vari aspetti: quello familiare, quello della situazione femminile (le donne cominciano ad affrancarsi dall’uomo), quello pittorico e quello teatrale, dal momento che negli anni della Belle Epòque a Parigi i teatri vivono il loro massimo splendore. In una Parigi in pieno sviluppo sociale, culturale e artistico, che in Francia dura dal 1870 fino alla seconda guerra mondiale, la gente scopre il piacere di uscire dopo cena, chiacchierare nei caffè, assistere a spettacoli teatrali. E tra il pubblico più scelto, vi sono anche i cosiddetti bohèmien, pittori squattrinati, che girano per le strade di Parigi alla ricerca di modelle, spesso prostitute. La stessa Louise è stata una di queste.

Barbara Chiappa è stata in grado, usando una scrittura visiva, di sottolineare il percorso narrativo attraverso lo sguardo, di riportare in vita personaggi distanti nel tempo, ma circondati da magiche atmosfere. Un racconto dove l’uso dei sensi rende vivida ogni scena.

La bambina affondò la forchetta sulla punta, ne tagliò un bel pezzo e lo mise in bocca, vorace. Sentì subito la cannella e un po’ dell’acido delle mele, poi irruppero la crema pasticcera e la sfoglia croccante, che le squarciarono il palato. Non aveva mangiato mi nulla di così buono.

Lo stile del racconto è scorrevole nonostante i tanti personaggi che lo animano e i molteplici avvenimenti che si susseguono a ritmo sostenuto. La lettura non risulta mai noiosa, al contrario, il lettore attratto dalle avventure di Louise e dalla capacità narrativa dell’autrice, sfoglia vorace, direi quasi con ingordigia, dalla prima all’ultima pagina, rapito dalle vicende di questo splendido ritratto di donna.

L’autrice

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BARBARA CHIAPPA è Laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università di Roma “La Sapienza” e in Scienze dell’Educazione presso l’“Istituto Progetto Uomo, Università Pontificia Salesiana”, gestalt counselor a mediazione artistica e drammaterapeuta, coordinatore e formatore in servizi dedicati a persone svantaggiate e docente di scuola superiore di secondo grado. Seconda classificata nel 2014 con il racconto ‘O vascio al “Premio Arthè” e prima classificata nel 2019 nell’ambito della manifestazione “Liberi sulla carta” con il racconto Confini. Dal 2015 è giurata di “Librinfestival”, maratona letteraria che premia i mestieri del libro. L’ingorda è il suo primo romanzo.

 
 

UN NUOVO E ORIGINALE CONSIGLIO DI LETTURA DI MARIA CIVITA D’AURIA, LA NOSTRA AMICA CHE AMA I LIBRI, LA STORIA DELL’ARTE E LA SCRITTURA, MA AMA SOPRATTUTTO LAVORARE CON I DISABILI DEL PUNGIGLIONE

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La tatuatrice gentile è il romanzo di esordio di Lucille Ninivaggi, una tatuatrice milanese che in poche pagine, poco più di cento, ha scritto una storia originale e pregna di significati.

… chiusa nella sua cameretta, cerca di evitare le grida. Preme forte il palmo delle mani sulle orecchie, ma il suono degli strilli è tanto acuto che niente può fermarlo. Allora immagina di essere una bambina con orecchie lunghissime, come quelle dei cani che le piacciono… Quando non pensa di essere una bambina-cane, Lara si vede come un uccello, leggera e colorata.

L’infanzia infelice

La protagonista è Lara una ragazza milanese che vive in un quartiere popolare di questa città e invidia le sue amiche che abitano in case eleganti. Ma l’infanzia di Lara è infelice anche a causa della sua famiglia. La madre è molto impegnata con più lavori per poter crescere i figli, inoltre Lara non ha mai conosciuto il padre che un giorno è sparito e non è più tornato. Il fratello ha una vita indipendente e dorme spesso fuori casa.

Le peonie di nonna Ada

L’unico sostegno in famiglia è la nonna Ada, da cui Lara si rifugia ogni volta che può, dal momento che le abita vicino. La nonna fa la custode in un palazzo e cura con dedizione il giardino del condominio, facendo crescere bellissime peonie, i fiori che preferisce perché secondo lei sono fiori armoniosi e crescono liberi. È la nonna che si rende conto per prima della predisposizione di Lara per il disegno. Lara, difatti, ama disegnare o inventare nuovi mondi dove rifugiarsi nei momenti più bui della sua infanzia.

La passione per il disegno

Così quando Lara inizia a frequentare la scuola media è la nonna a convincerla a partecipare a un concorso di disegno bandito dalla scuola stessa per realizzare il logo di un’associazione che si occupa di gestire cani per i non vedenti. Lara vince il premio. La nonna è la sola a esultare dalla gioia perché la madre e il fratello di Lara, come sempre, sono assenti. Nonostante tutto, in questo momento, Lara fa una scelta importante per il suo futuro perché decide di iscriversi al liceo artistico, per non smettere mai di disegnare.

La carriera

Da adulta, invece, è costretta a destreggiarsi fra diversi lavori per vivere. Dalla pasticcera alla cameriera, dalla commessa alla baby sitter, ma non è mai contenta perché non si sente adatta a ricoprire questi ruoli così precari. Poi finalmente arriva la svolta perché un’amica le propone di entrare nella sua azienda che si occupa di moda. Presto Lara viene notata per le sue capacità e da stagista passa ad affiancare un art director, per imparare il mestiere e in breve tempo fa una discreta carriera.

La scelta

Nonostante tutto Lara non è soddisfatta perché il sogno della sua vita è fare la tatuatrice, per tornare, con i suoi disegni, a raccontare storie, anche se questa volta lo farà sulla pelle delle persone che si rivolgono a lei. Così trova il coraggio di lasciare un posto di lavoro sicuro e accetta la proposta di un suo amico che conosce i tanti sacrifici che Lara ha fatto per raggiungere il suo obbiettivo. Per esercitare il mestiere di tatuatrice il ragazzo le propone un piccolo spazio in un angolo del suo studio che è poco, ma Lara è contenta perché può finalmente cimentarsi nella sua arte. In questo studio lavora con Gabriele che ha conosciuto a una festa ed è subito diventato come uno di famiglia. Insieme sono una coppia di amici perfettamente in sintonia.

Disegnare storie

Le persone che frequentano lo studio sono soprattutto donne. E Lara prima di tatuare vuole conoscere le storie della loro vita, che è spesso molto dolorosa. Lei le ascolta con la stessa attenzione con la quale nonna Ada curava le sue piante. C’è Chiara, che è stata violentata da due balordi rimasti impuniti. E lei dopo cinque anni ancora li cerca nei volti degli uomini che incontra per strada. Si è recata nello studio di Lara perché vuole chiudere definitivamente questa storia che l’ha ferita per troppo tempo. Poi c’è Valentina alla quale è morta la mamma e senza di lei è difficile andare avanti. C’è Luca e Francesca che hanno una figlia di nome Sole, che è nata con un disturbo congenito che le impedisce di respirare da sola. Infine c’è Sara che è stata abbandonata dal marito.

La rinascita

La Tatuatrice traccia immagini di donne ornate di fiori o strette in un abbraccio, ma tatua anche uccellini colorati, porte o scale in segno di rinascita, perché Lara con il tatuaggio, che non è solo un disegno ma è anche una storia, un ricordo, vuole liberare queste donne dal dolore. Con il suo disegno le aiuta a “tirare una riga – una riga bellissima, fatta di colori, volti e fiori – su ciò che sono state e a segnare il punto della rinascita.”

Conclusioni

Ho trovato lo stile del romanzo di Lucille Ninivaggi non troppo scorrevole, forse perché manca di semplicità, la narrazione non è sempre lineare, si sposta fra le storie, utilizza la struttura narrativa del montaggio,  segue il corso del pensiero, anche se non si può parlare di “flusso di coscienza”.  Il libro, nonostante questa mancanza di linearità, merita di essere letto per i suoi contenuti, l’originalità del tema, perché parla di donne coraggiose che hanno tirato fuori le unghie e non permettono al male che le ha investite di fermarle.

Queste storie aiutano anche Lara a superare le sue paure e insicurezze e a sentirsi meno sola, perché come diceva la cara nonna Ada: “Ci sono volte in cui fare qualcosa per gli altri equivale a farlo per se stessi”. Ed è questa massima che aiuta Lara a raggiungere il grande successo, tanto che ora è diventata, per tutti coloro che l’hanno conosciuta, La tatuatrice gentile.

 

L’AUTRICE

 

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È appena giunta in redazione la recensione curata da Germana Recchia
di un libro che sta facendo parlare di sé e sta scalando le classifiche.

«Sono anni che mi interrogo sul giorno dopo. Sappiamo tutti di cosa si tratta, di quel risveglio che per un istante è normale, ma subito dopo viene aggredito dal dolore.»

La mattina dopo, Mario Calabresi, Mondadori, Strade blu, Germana Recchia, mestierelibro

LA MATTINA DOPO

Mario Calabresi

Mondadori, 2019 Collana: Strade blu

In commercio dal:17 settembre 2019
Pagine: 144 p., Brossura
EAN: 9788804663195
LIBRO € 14,45  epub € 9,99

 

Il romanzo di Mario Calabresi è una storia di vita delicata e intensa, ma non è la sua storia, è la storia di ogni uomo che sappia riconoscersi. Una storia che ci riguarda tutti molto da vicino e molto in profondità. Siamo esseri umani, uomini e donne, mutevoli, fragili, non sempre per scelta consapevole. E questa ‘mattina dopo’ è come un lungo e sottile filo elettrico che ora si illumina ora si spegne, portando o togliendo luce alle nostre giornate. Consapevoli di quel che siamo e di quel che abbiamo, senza che sia dovuto o imperituro, forse potremmo vivere esistenze diverse, da persone diverse. O forse vivremmo in modo meno appassionato e meno lieve e sarebbe triste e grave. All’esperienza del ‘giorno dopo’ visitato da un cambiamento inatteso, improvviso, doloroso, perfino straziante, Mario Calabresi, che lo ha vissuto in prima persona, dedica questo libro, raccogliendo le voci e le testimonianze di altre storie e di altre vite unite dallo stesso cambiamento. Un cambiamento che mai si sarebbe scelto, mai si sarebbe voluto, ma che porta in sé – difficile crederci – i semi di un rinnovamento, di un mutamento di rotta, di destino, di una trasformazione certo dolorosa, ma che solo da quella ‘mattina dopo’ può muovere i suoi passi. Ed è così che quel lungo filo elettrico che all’improvviso si spegne, riprende ad accendersi di una luminosità delicata e sottile, dorata, più sapiente, per accompagnare un cammino che prosegue, arricchito proprio dal dolore e dallo spaesamento, nutrito da quella esperienza travolgente che è caduta sulle nostre e sulle altrui teste, così, come la notte cade sul giorno.
Non è un caso se l’esergo del Romanzo ricorda una poesia di Antonio Machado, Caminante no hay camino, che già in sé racchiude tutto il significato:

Viandante, sono le tue orme
Il cammino e nulla più;
Viandante, non esiste sentiero:
si fa la strada nell’andare.
Nell’andare si segna il sentiero
E, voltando lo sguardo indietro,
si scorge il cammino che mai
si tornerà a percorrere.
Viandante, non esiste sentiero,
solo scie nel mare.

Leggi un estratto del libro

Perché il sapere della vita si acquisisce camminando, non a ritroso ma andando avanti e non perché ci sia una meta da raggiungere o perché sia questo l’obiettivo della partenza, dell’iniziare. Ma perché il cammino è prima di tutto una dimensione interiore, personale, unica, che non prevede conoscenze profetiche o paracadute di salvezza. Il cammino è l’esistenza stessa, esposta alle gioie e alle sofferenze quotidiane, senza le une non si spiegano le altre. Senza luce non distingueremmo il buio e viceversa. Perché indietro non si torna, da quell’esperienza dolorosa al risveglio bisognerà scostarsi, andando avanti e solo andando avanti – anche in condizioni psichiche e fisiche del tutto mutate, non peggiori, non migliori – ma diverse. Condizioni che ci porranno di fronte a un’esistenza, a un esistere, nuovo e non paragonabile.
Quel che ho trovato più delicato e umano nel racconto di Calabresi è stato il sapersi e sentirsi finalmente riconciliato o quasi con una condizione umana universale, nel bene e nel male. Fatto che costituisce sì una risorsa a cui attingere forza e ispirazione, ma anche una miniera di umiltà da condividere. Ritrovandosi e rispecchiandosi in un cammino che tanto è esperienza individuale, quanto sapere umanamente comune. E proprio così il risveglio e la caduta dell’autore incrocia altri risvegli uguali e diversi, che hanno uguale la fatica di rialzarsi e di ripartire e che lo portano poi a ripercorrere una storia familiare troppo a lungo trascurata. Una storia che mostrerà già in sé i segni dei nuovi inizi. Tanti nuovi inizi che forse un tempo erano vissuti di più come prove inevitabili, naturali, durante il cammino increspato della vita.

Germana Recchia

 

L’AUTORE

Mario Calabresi è nato a Milano nel 1970. Giornalista, è stato direttore della «Stampa» dal 2009 al 2015 per poi passare alla direzione di «Repubblica» dal gennaio 2016 fino al febbraio 2019. Da Mondadori ha pubblicato: Spingendo la notte più in là (2007), La fortuna non esiste (2009), Cosa tiene accese le stelle (2011) e Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa (2015).

 

 

L’autrice della recensione
Germana Recchia è nata a Roma dove vive e lavora. Laureata in Lettere, Storia della critica letteraria e in Filosofia, Pedagogia generale, ha studiato e pubblicato saggi su Maria Montessori e sulla diffusione del suo Metodo. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Metodologia della ricerca educativa all’Università degli Studi di Salerno e il Master in Comunicazione istituzionale, organizzazione e servizi digitali. Iscritta all’Albo dei giornalisti pubblicisti, nel tempo libero ama correre.

di Giusi Radicchio

Sfogliando i giornali cartacei ed elettronici mi è capitato, in questo mese di maggio, di leggere più di un titolo che ricordava il Maggio Francese del 1968, mese che vide la nascita della rivolta della gioventù studentesca.

chansons des filles de mai, Alba De Céspedes

Quando nel 1968 Alba De Céspedes, conosciuta e affermata in Italia, si trasferisce definitivamente a Parigi, è già pregna della cultura e della lingua francese, avendo in precedenza vissuto a lungo in Francia con la zia paterna. Legata agli intellettuali parigini, stringe un rapporto di fiducia particolare con le Éditions du Seuil, che diventa il suo editore francese. Vive nel Quartiere Latino e la ventata del movimento giovanile, che prende il via nel marzo del 1968, l’affascina in modo intenso, tanto da rinnovare la vena poetica interrotta nel 1936 quando aveva dato alle stampe la sua ultima raccolta di poesie, Prigionie. Nasce così nel 1968 Chansons des filles de Mai, raccolta pubblicata prima in lingua francese, in seguito in Italia, nel 1970, da Mondadori con il titolo Le ragazze di maggio. La raccolta è tradotta dalla stessa De Céspedes che in questa opera mette in luce la personalità delle giovani figure femminili protagoniste di quella rivolta, a cui l’autrice assiste quotidianamente. Queste poesie della maturità, e degli anni della sperimentazione narrativa, tendono con naturalezza alla prosa, rispecchiando nelle canzoni l’eroismo delle ragazze di maggio.

Di seguito l’introduzione di Alba De Céspedes al “poema” come lei chiama Le ragazze di maggio.

Le ragazze di maggio, Alba De CéspedesDurante i mesi di maggio e giugno 1968, mi trovavo a Parigi, in uno studio di rue de Tournon, sulla rive gauche, a due passi dalla Sorbona, da Saint-Germain-des-Près, nel quartiere dov’è scoppiata la rivolta degli studenti e dove avevano luogo i loro scontri con la polizia. Lavoravo al mio nuovo romanzo, e ho l’abitudine di lavorare di notte; ma, dai primi di maggio, il silenzio notturno era lacerato da scoppi di granate, da detonazioni, da grida, dal rumore di passi in fuga, che mi distraevano dal mio libro. Non facevo altro che seguire ciò che accadeva attorno a me: rimanevo per ore al transistor, ascoltando le notizie che i radiocronisti trasmettevano direttamente dal Quartiere Latino.
Di giorno uscivo, mi recavo alla Sorbona, all’Odéon, assistevo ai dibattiti, alle riunioni, e lì come nelle strade devastate, disselciate, ingombre di automobili carbonizzate e puzzolenti di gas, incontravo i giovani rivoluzionari, li interrogavo, li spingevo a parlare. Più loquaci, le ragazze divenivano ai miei occhi le protagoniste di quella rivolta che fu il primo segno spontaneo e inequivocabile della lotta che sta cambiando la nostra società; forse perché la donna per sua natura esprime con passione le proprie idee, i propri sentimenti, e affronta con una sorta di eroismo ogni vicenda della propria vita.
Quelle notti, quei giorni, quegli incontri, di cui a tutta prima volevo soltanto prendere nota, in italiano, nel mio diario, si sono invece presentati a me come momenti di un unico poema, che mi è venuto naturale scrivere nella lingua, anzi con le stesse parole, di coloro che lo hanno vissuto; e che oggi ho riscritto in italiano.

Il Maggio francesePer caso, proprio a ridosso di quelle letture, ho ritrovato un articolo in cui Elsa de’ Giorgi recensiva la raccolta poetica di Alba De Céspedes, Chansons des filles de mai, dedicata alla ragazze parigine e alla loro lotta.

Alba De Céspedes, Chansons des filles de mai, aux Éditions du Seuil.
Recensione di Elsa de’ Giorgi.
Da «Opera aperta» n.15-16 anno V, agosto 1969.

Était la bûcher de cette liberté
a paier
de mai? Ou était-ce
simplement l’aurore?
Javais peur
de me le demander

Questo è il senso più profondo di queste belle canzoni poetiche di Alba de Céspedes. Esse meriterebbero di esser musicate in una marcia franca e giovane per entrare nelle orecchie e nel cuore di quei ragazzi infrolliti dalle canzonette di S. Remo. Sono una reazione di giovanile speranza, di lealtà, di saggia e mesta ribellione all’ordine ipocrita delle ipocrite democrazie. C’è il ribrezzo della forza bruta costituita, il sentimento della libertà come fede proibita: la trepidazione di portare la libertà al di sopra delle ipocrisie delle strutture.
Non a caso queste belle canzoni più che poesie sono scritte da una donna che come Alba de Céspedes ama e rispetta la vita. Rispetta soprattutto il tremendo impegno a viverla così degenerata da falsi socialismi come l’abbiamo consegnata ai giovani.

Nos garçon sont grands et maigres,
ils ont des bountons,
des mains rouges,
des bras ballants,
et des cheveux longs longs

Ce n’est pas toujours facile
avec eux;
ils sont seuls, silencieux
ils n’arrivant jamais ponctuels
aux rendez-vous.
Ils arrivent, pourtant,
ils ne peuvent se passer de nous:
c’est ça l’important.

Questo è l’importante. Che essi arrivino anche se non puntuali. La puntualità è un elemento burocratico. Essi non lo possiedono.
Per questo si pensa che la loro rivoluzione sia fallita, vinta dall’ordine costituito, di destra e di sinistra, che nel maggio scorso in Francia si è dato la mano. Ma essi arriveranno, proprio quando si sarà persa la speranza di vederli arrivare. Perché arriveranno senza violenza. Nella loro disperazione di noi, dei nostri sistemi, sta la loro speranza e la nostra in loro.
Alba è una donna. E solo una donna intellettuale può capire i giovani. Non la fisiologicità delle madri intontolite di sonno borghese e fede nel benessere.
Alba, come già Elsa Morante nel “Mondo salvato dai ragazzini”, sente che nei capelli allungati dei ragazzi, nella loro diffidenza e ribellione al mondo com’è, è la speranza.

Aurora o semplicemente un cielo
[rosato dal maggio?]
«Mais les femes-ont le coeur
[Plus grand»]

E i ragazzi hanno bisogno di essere amati dalla madre anche se si incontreranno con lei, senza darsi niente, sfiorandole la mano e poi riprenderanno un cammino differente.

Je t’aime, mère,
Comme nous pouvons aimer
Aujourd’hui:
Sans émotion et sans merci.

Queste madri anche quelle dei “gars” non sanno ancora (e forse non ha importanza che lo imparino perché per loro è troppo tardi ed è inutile preoccuparsi di fare una educazione ai padri e alle madri, questo è inutile) quello che importa è che i ragazzi e le ragazze pensino allo stesso modo e tutti insieme sappiano che il sangue dei neri dei gialli dei bianchi è uguale e forse bisognerà versarlo insieme dietro le barricate perché quelli di là, i poliziotti, tra cui ci sono le madri, i padri lo vedano insieme e capiscano che è idiota farlo versare: perché è il sangue dei loro figli, delle loro ragazze.

«Io vorrei scrivere poesie la/
sera/
ma non posso. Mi fanno tradurre i testi/
Pubblicitari/
di una crema di bellezza/

E ho paura di abituarmi/
ad andare aventi così/
fino alla morte».

È la pietà per questi giovani il tema quasi straziante dei canti della De Céspedes: un tema d’amore e cioè d’intelligenza. E con l’intelligenza d’amore andrebbero meditati. Ne consiglierei la lettura a tutti i politici di ogni parte del mondo, la dizione ad alta voce nelle scuole, nelle caserme, nei parlamenti e ove non ci sono parlamenti , ci sia il canto per le strade ad accompagnare il tragico fumo dei Bonzi di Praga.
Migliaia di congressi in ogni paese del mondo ci danno ogni giorno triste certezza della umana ipocrisia e dell’indifferenza di chi detiene il potere e, per l’opportunità di mantenerlo, finge interessi che non ha: una donna poeta e civilissima è riuscita a farci piangere d’intelligenza e di rimorso per i problemi di una generazione della quale non sappiamo immaginare l’avvenire e alla quale vogliamo impedire di immaginarlo diverso da un presente che ci ripugna e da un passato che ci eravamo vantati di avere rinnegato.

Riprendo il discorso su questo libro, iniziato qui il 18 ottobre 2015, approfittando dell’incontro con l’autore Carmine Abate presso la libreria Ubik Monterotondo, un incontro atteso, all’altezza delle aspettative.

LA FELICITÀ DELL’ATTESA

«Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome.»

Carmine Abate, la felicità dell'attesaMondadori

Scrittori Italiani e Stranieri 2015

Narrativa moderna e contemporanea

ISBN 9788804658030

360 pagine 19,00

15,5 x 23,3 cm   Brossura con alette

In vendita dal 13 ottobre 2015

ebook-disponibile     Leggi il primo capitolo

Il biglietto da visita di un libro è il titolo e questo libro è racchiuso nelle quattro parole del titolo La felicità dell’attesa, dove l’attesa è la felicità di credere nel futuro, in una promessa di cambiamento.

L’epigrafe, la soglia di ingresso del libro, si schiude al pensiero di Sant’Agostino e ne va a spiegare il titolo:

I tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell’animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente è la visione, il presente del futuro è l’attesa.
Sant’Agostino, Le confessioni, libro XI

Dice Carmine Abate che l’attesa è la felicità del futuro, tutti i personaggi che animano il libro hanno negli occhi “la felicità dell’attesa”, hanno questa attenzione interiore, tesa caparbiamente verso il futuro. Quindi felicità dell’attesa come nostalgia del futuro, non nostalgia del passato.

Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome.

Incipit perfetto, breve, condensato, illuminante, in quindici parole ci racconta il tema del romanzo.

Incipit come inizio, e l’inizio di questa storia è una partenza, la prima, a cui ne seguiranno altre, lunghe quattro generazioni. A narrarle sarà il nipote omonimo di quel Carmine Leto che per primo primo lasciò il paese di Hora, la Calabria e l’Italia per raggiungere la Merica bona, una terra lontana, diversa, difficile, dura, ma dove tutto può essere possibile, anche diventare campione di boowling o sposare una mericana di colore e portarla in Calabria, o ancora conoscere una donna bellissima, con un neo sulla guancia che si chiama Norma Jean.
È il 13 maggio del 1903 e Carmine Leto, si imbarca per raggiungere la Merica Bona. Con lui si imbarcano Concetta Fuoco, vedova di Francesco Varipapa, insieme ai suoi tre figli, il più grande, Andrea, sarà protetto da Carmine e la sua storia si intreccerà con quella della famiglia Leto. La partenza è legata alla necessità di un lavoro, a una stabilità economica che la Calabria di inizio Novecento e il piccolo paese di Hora non potevano garantire. La Merica Bona è il miraggio, l’Eldorado, il paese ricco e non conta la durezza del viaggio, la fatica del lavoro, perché l’accoglienza della comunità italiana consente di raggiungere la concretezza economica e il ritorno in patria. Obiettivo vanificato quando Carmine, tornato a Hora, si scontrerà non più con la mancanza di lavoro, ma con la realtà sociale della sua terra: la legge del più forte, l’omertà, la violenza, che porteranno alla seconda partenza, quella del figlio Jon e questa volta l’obiettivo sarà la vendetta. Ma Jon partirà ancora, e sarà per amore. Solo la terza volta Jon partirà per lavoro.

Una saga che si dilata in un secolo di storia personale e collettiva. I capitoli si alternano saltando da un passato ruvido a un presente sospeso nell’attesa, dove i personaggi sono al servizio del tempo e si muovono all’interno di spazi distanti fra loro per chilometri e culture, luoghi che si chiamano Hora o New York o Australia. La lingua italiana si alterna all’arbëresh, l’albanese “anticario”, la lingua “segreta”, parlata dai profughi che arrivavano in Italia dall’Arbërìa alla fine del ‘400, in fuga dall’occupazione ottomana.

In un momento storico in cui l’Italia è diventata meta di popolazioni che fuggono dalla guerra e dalla miseria e l’accoglienza è termine di scontro ideologico, Carmine Abate ritorna indietro con la memoria e ci racconta il tempo in cui erano gli italiani, senza lavoro e senza futuro a imbarcarsi e affrontare lunghi viaggi in condizioni disperate, dove l’amicizia si propone come unico aiuto per una speranza di riscatto.

INCONTRO CON L’AUTORE, libreria Ubik Monterotondo

Carmine Abate ci racconta il suo libro a partire da Andrea Varipapa, personaggio realmente esistito, imbarcato a dodici anni per l’America, poi diventato il più grande giocatore e campione di bowling di tutti i tempi.

carmine Abate, la felicità dell'attesaIn realtà nella mia prima idea del romanzo Andy Varipapa non c’era. Volevo scrivere una storia romanzesca un po’ inventata e un po’ vera, raccontando tutte le migrazioni della mia famiglia, a partire da nonno Carmine, non ovviamente Carmine Leto ma Carmine Abate di cui io porto il nome, senonché una storia non si lascia ingabbiare in percorsi precostituiti, una storia va dove vuole, ti ossessiona, ti insegue, ti anticipa e proprio nel momento in cui avevo iniziato a raccogliere informazioni su nonno Carmine, è sbucato fuori dal nulla, perché nessuno in paese ne sapeva qualcosa, Andy Varipapa.
Andrea Varipapa, Andy “the Greek” è uscito fuori da un articoletto sul «Crotonese» scritto da Michele Abate, un mio parente. Quando sono andato la prima volta in America, invitato a tenere delle conferenza nelle università americane dopo il Campiello, ho cercato le tracce di nonno Carmine, e sono andato anche alla ricerca di quelle di Andy. Lui ha avuto la stessa vita di molti emigranti. Quando è partito, a dodici anni e due mesi, era già un uomo in grado di lavorare. Ha iniziato subito come macellaio, ha provato a fare il pugile, a giocare a baseball poi, durante la crisi del 29 lo ha salvato uno di Carfizi, una uomo carismatico, lungimirante, che era stato sindaco del paese. Solo quando Andy inizierà a giocare a bowling entrerà nella storia come campione, girerà molti film a Hollywood interpretando se stesso. Il bowling è un po’ la metafora della vita come la intendeva lui: quello che conta nella vita è la preparazione. A me interessava il bowling non solo come metafora di un semplice gioco, ma anche per raccontare un’emigrazione di successo. L’emigrazione non è solo sofferenza, non è solo ferita, può essere anche ricchezza. Avrei potuto scrivere un romanzo su Andy ma sarebbe diventata una geografia anche troppo elogiativa, invece lui è uno dei tanti personaggi, uno però che ha realizzato il sogno americano.

Carmine Abate, La felicità dell'attesaAnche la vita di Jon Leto è un romanzo nel romanzo, perché seguendo Andy nei suoi viaggi si imbatte in questa donna bellissima di cui si innamora. “Ogni volta che si apriva al sorriso il neo andava su e giu…”
Succede che i due giovani si raccontano a vicenda, lui racconta le sue ferite, lei del padre che non ha mai conosciuto. Era convinta che fosse Clark Gable, come le aveva detto la madre. Anche Jon aveva i baffi alla Glarke Gable, com’era di moda, gli assomigliava anche e lei quando vede questo giovane così simile al suo idolo se ne innamora. Il loro innamoramento nasce sul dolore dell’assenza.

Questo romanzo parte proprio da Hora e dall’Arbëresh, l’albanese “anticario”, perché per uno scrittore che scrive in Italiano la madre lingua è importantissima. Io e quelli della mia generazione non conoscevamo nemmeno una parola di italiano, fin quando non siamo andati a scuola. Sono nato nell’anno della televisione, però non c’erano televisori e al paese l’unica lingua che si sentiva era quella cantata: il napoletano con le sue canzoni. Il primo giorno che sono andato a scuola ero convinto di imparare il napoletano. In poco tempo invece abbiamo imparato l’italiano ma i maestri ci davano le bacchettate se parlavamo arbëresh, come ho raccontato nel “Ballo tondo” ed erano maestri arbëresh e molti di loro non hanno insegnato l’ arbëresh ai propri figli convinti che se i bambini avessero imparato l’arbëresh non avrebbero imparato bene l’italiano. Scrivo in italiano perché nessuno mi ha insegnato a leggere e scrivere arbëresh, noi siamo stati tutti scolarizzati in lingua italiana.

Carmine Abate, La felicità dell'attesaPoi si è cominciato a capire che se perdi la tua lingua perdi te stesso e una madrelingua è la tua lingua, la lingua della mamma, la lingua in cui vostra madre vi ha parlato mentre eravate nel suo grembo e noi la nostra lingua la definiamo La lingua del cuore, a indicare che questa madrelingua è quella più radicata dentro di te nel profondo del tuo cuore. A scuola poi abbiamo imparato La lingua del pane che è altrettanto importante: cuore e pane, la lingua che ci ha dato da mangiare che ci ha fatto lavorare, che per mio nonno è stato il mericano più che l’inglese per mio padre il germanese più che il tedesco e per me è stato l’italiano e un po’ il tedesco. Tutto quello che per gli insegnanti doveva essere un ostacolo io l’ho trasformato in fortuna. Nei libri inevitabilmente le parole di queste lingue si impigliano sulla pagina. Nel mio primo libro Il ballo tondo volevo scrivere in italiano e ogni tanto entrava, anzi si impigliava sulla pagina una parola arbëresh. Poi con l’età ho capito come mai queste parole si impigliavano nella pagina, l’ho capito con La festa del ritorno. Mentre scrivevo del rapporto fra me bambino e mio padre emigrato, si è impigliata una parola, varrancaro, che viene dalla parola spagnola barranca che vuol dire burrone. Varrancaro vuol dire bambino che sta dalla mattina alla sera fuori a giocare nei burroni, a cercare more, a giocare con il proprio cane, e poi torna a mezzogiorno a casa, mangia un pezzo di pane, esce e ritorna al tramonto. Appena questa parola si è impigliata io l’ho tirata a galla come se fosse un’esca viva Queste sono le parole arbëresh, delle esche che tirano a galla le storie e in quel caso ho scoperto che quella parola si era tirata tutta la mia infanzia, tutta la mia infanzia felice malgrado tutto. Non potevo fingere di fronte alle parole, ero stato un bambino libero e felice Queste parole sono più importanti di quello che il lettore può immaginare, di quello che io potevo immaginare. Sono vermicelli vivi che tirano a galla delle storie e questo mi ha fatto capire un’altra cosa, che la vita viene prima delle storie.

Carmine Abate, La felicità dell'attesaShirley invece è il personaggio mericano. E’ proprio Mericana Mericana. Intanto è scura, la chiamano la Nigra. Il marito Carmine spiega che è una mulatta, figlia di un biondizzo come a mia e di una nivurella. Shirley era convinta di arrivare in un paese bellissimo, come lo aveva dipinto il marito, aveva appena iniziato a imparare l’italiano quando capisce che nel paese si parla un’altra lingua e Carmine le spiega l’origine della lingua albanese.

Quando furono invitati alla festa di matrimonio di un parente, la Mericana restò a vuccaperta: dietro la sposa regina, le donne sfilavano in corteo con costumi scintillanti e antichi, che le facevano sembrare tante principesse. «Questa è la coha di gala. Qui le fimmine, almeno sul vestire, sono tutte uguali. Altro che Novayorka!»

Negli anni venti tutte le donne indossavano la coha di gala e Shirley resta colpita dalla bellezza degli abiti e attraverso la cultura comincia a innamorarsi del paese.

Forse la cosa più bella dei nostri paesi e la cosa che mi manca di più è il fuoco di Natale perché mi ricorda l’infanzia. Da bambini andavamo in giro per il paese con una carriola a raccogliere la legna, uscivano le donne, ci davano i ciocchi e poi si accendeva il fuoco che ha un grande valore simbolico perché attorno a questo fuoco ci si scambiano gli auguri di Natale e tutta la comunità è unita e le cose più belle le ho sentite durante la notte di Natale, il fuoco alle spalle, il calore, l’amico con cui bevi oppure le patate che si mangiano al mattino quando il fuoco diventa brace, e fin quando tutto questo ci sarà nella realtà, ci sarà anche nei miei libri.

Carmine Abate, La felicità dell'attesaHo scritto un libro che si chiama Vivere per addizione e altri viaggi in cui ho raccontato un po’ più teoricamente quello che racconto narrativamente ne La felicità dell’attesa, ovvero il percorso lungo e doloroso di una famiglia di emigranti e della ferita che si apre dentro di loro, la ferita della partenza. Vivono all’estero con tutti gli altri emigranti la difficoltà dell’integrazione, la difficoltà di imparare una lingua, di trovare una casa, il razzismo che ho vissuto sulla mia pelle, più in Italia che in Germania, perché ero scuro di pelle, mi prendevano per marocchino. A un certo punto ho capito che non bisognava soltanto avere nostalgia o piangersi addosso, ho capito che bisognava avere la forza di trasformare questa esperienza da ferita in ricchezza ed è successo un pomeriggio in Germania, all’improvviso, riflettendo mentre i miei studenti facevano un esercizio: se per i tedeschi ero semplicemente uno straniero, per gli altri stranierei un italiano, per gli italiani un meridionale o terrone, per i meridionale un calabrese per i calabresi un arbëresh e quando tornavo nel mio paese arbëreshë, ero un germanese, oggi sono un trentino: è tornato il professore trentino.
Per qualcuno addirittura ancora oggi sono uno sradicato perché molti pensano che chi parte è uno sradicato, ma tutti noi sradicati siamo come gli altri, non potremmo vivere senza radici, più o meno consapevolmente tutti noi abbiamo le radici e le radici più profonde sono affondate nella lingua madre, almeno così è per me e quando ho fatto questa riflessione mi sono chiesto chi sono io: Carmine Abate la sintesi di tutte queste cose sono italiano meridionale terrone calabrese arberesh e non è vero che sono uno sradicato ma è vero il contrario e io ho più radici sotto i miei piedi, sono nate in tutti i posti in cui ho vissuto, nuove radici e queste radici non sono affondate nel terreno come quelle originarie, sotto i piedi sono nate nuove radici sono radici volanti come quelle dei ficus e per noi sono importanti le nuove radici e io ho deciso di curare non solo le radici originarie ma anche le nuove e da quel giorno ho deciso, facendo anche grandi sforzi, di vivere per addizione che vuol dire non dover scegliere per forza tra nord e sud.

Giusi R.

Esce oggi il nuovo romanzo di Federica Bosco, Tutto quello che siamo, edito da Mondadori.
Un romanzo YA, nulla di quanto i lettori e fan della scrittrice si aspettano, con un mood che si può sintetizzare in questo dialogo tra fratello e sorella:
“Ma sei sempre così triste?” “Perché, tu no?”
Tutto quello che siamo, Federica Bosco
Mondadori

ISBN 9788804658023

348 pagine 18,00

14,0 x 21,5 cm – Cartonato con sovraccoperta

In vendita dal 27 ottobre 2015

ebook-disponibile

Marina ha 19 anni e una vita non facile. Una mamma che se n’è andata troppo presto, un padre padrone, il sogno di frequentare l’Accademia di Belle Arti lasciato nel cassetto per evitare che il fratellino venisse cresciuto dalla “matrigna”, e la scelta di andare a lavorare per non gravare sul padre pronto a rinfacciarglielo. Si sente peggio di Cenerentola: profondamente sola, incompresa e armata solo di una bella dose di ironia, ma senza nessuna Fata madrina all’orizzonte che venga a salvarla.

L’amore è qualcosa a cui, ovviamente, non ha mai neanche pensato, e comunque l’unico ragazzo che le interessa, spocchioso studente del terzo anno, che vede tutte le mattine al bar dove lavora (giusto davanti all’Accademia, tanto per farsi del male!) sembra non accorgersi di lei. Fino al giorno in cui i loro sguardi si incrociano…

Federica Bosco

Federica Bosco è scrittrice e sceneggiatrice. Ha al suo attivo una ricchissima produzione di bestseller, da Mi piaci da morire a S.O.S. Amore, premio Selezione Bancarella, al più recente Un amore di Angelo (tutti usciti per Newton Compton). Con Mondadori ha pubblicato Pazze di me (2012), della cui versione cinematografica, per la regia di Fausto Brizzi, è co-sceneggiatrice e Non tutti gli uomini vengono per nuocere (2013), Il peso specifico dell’amore (2015).

Dalla Mondadori ci arriva la novità di un autore che con i suoi libri ha raccontato la terra di Calabria, Hora il mitico paese arbëreshë, le antiche tradizioni, la lingua segreta.

CARMINE ABATE

LA FELICITÀ DELL’ATTESA

«Il primo a partire fu Carmine Leto, il nonno paterno di cui porto il nome…»

Con questo incipit prende il via la narrazione della nuova saga di Carmine Abate che abbraccia quattro generazioni della famiglia Leto, più di un secolo di storie e tre continenti.

Carmine Abate, la felicità dell'attesaMondadori

Scrittori Italiani e Stranieri 2015

Narrativa moderna e contemporanea

ISBN 9788804658030

360 pagine 19,00

15,5 x 23,3 cm   Brossura con alette

In vendita dal 13 ottobre 2015

ebook-disponibile     Leggi il primo capitolo

 

Come La collina del vento era la storia di una famiglia che rimane e resiste, così La felicità dell’attesa racconta i destini – più che mai attuali – di quanti lasciarono le sponde del Mediterraneo per cercare fortuna altrove, approdando nella “Merica Bona”: una terra dura eppure favolosa, di polvere e grattacieli, sfide e trionfi.

Stati Uniti d’America, 1903: un ragazzo partito dal paese arbëreshë di Carfizzi, la mitica Hora, approda a Ellis Island, destinato a diventare un campione di bowling noto in tutto il mondo con il nome di Andy “the Greek” Varipapa.

Proprio lui sarà il mentore di Jon Leto, che partirà tre volte: per vendetta, per amore e per lavoro. E a Los Angeles incontrerà una donna circonfusa di un fascino magnetico, come il neo ammaliatore che ha sulla guancia: Norma Jeane, che ancora non porta il nome che la renderà un mito… Carmine Abate dà vita a un’epopea tra l’Italia e il “Mondo grande”, che ancora una volta scava nella nostra memoria collettiva e ci racconta le vicende di uomini e donne coraggiosi: dal capostipite che torna in Calabria con la moglie americana, al figlio Jon che parte sulle sue tracce e al nipote Carmine, il narratore della storia, che a sua volta segue le tracce segrete del proprio padre; dal duro lavoro nelle miniere alle speranze di riscatto nella “terra promessa” oltreoceano; dalle straordinarie donne del passato a quelle di oggi.

Un’indagine narrativa corale che ha il ritmo di un giallo – e infatti ruota intorno al mistero di una morte da vendicare – ma che è soprattutto una appassionata storia di partenze e ritorni, di legami e strappi, di amore.

A Roma l’appuntamento con Carmine Abate è per il 22 ottobre ore 18.00

Carmine Abate è nato nel 1954 a Carfizzi, un paese arbëresh della Calabria. Emigrato da giovane ad Amburgo, oggi vive in Trentino. Come narratore, ha esordito in Germania con Den Koffer und weg! (1984). Ha pubblicato due libri di racconti, Il muro dei muri (1993) e Vivere per addizione e altri viaggi (2010), la raccolta di “poesie & proesie” Terre di andata (1996 e 2011), il saggio I germanesi (1986 e 2006) con Meike Behrmann e i romanzi: Il ballo tondo (1991), La moto di Scanderbeg(1999), Tra due mari (2002), La festa del ritorno (2004, premio selezione Campiello, nuova edizione 2014) e Il mosaico del tempo grande (2006), Gli anni veloci (2008), La collina del vento (premio Campiello 2012) e Il bacio del pane (2013). I suoi libri, vincitori di numerosi premi, sono tradotti in Francia, Stati Uniti, Germania, Olanda, Grecia, Portogallo, Albania, Kosovo, Giappone e in corso di pubblicazione in arabo.

Da martedì 13 ottobre vi aspetta, in libreria e in e-book, il romanzo di esordio di Chiara Passilongo, La parabola delle stelle cadenti, il libro Mondadori dell’autunno.

In attesa di leggere e recensire questo nuovo romanzo autunnale, metto in vetrina i primi riferimenti al libro e alla storia che narra.

Una bellissima storia familiare ambientata nel Nord Est: un imprenditore e i suoi due figli, nati la notte di San Lorenzo; l’Italia dagli anni 80 alla crisi del 2008, con l’economia che cresce e collassa, con le speranze, l’impegno, le illusioni e le delusioni di un mondo che cambia; quattro personaggi nitidi e indimenticabili; le gioie e i dolori della vita, in un delicato equilibrio che è realistico e pieno di speranza al tempo stesso.

La parabola delle stelle cadenti, Chiara Passilongo

  • Scrittori Italiani e Stranieri 2015
  • Narrativa moderna e contemporanea
  • ISBN 9788804658306
  • 384 pagine 18,50 – 15,5 x 23,3 cm
  • Brossura con alette
  • In vendita dal 13 ottobre 2015

10 agosto 1981: Nora dà alla luce due gemelli, Francesco e Gloria. Achille Vicentini, il neo padre, sta tornando a casa dopo la notte in ospedale, a bordo della sua Giulietta, euforico. Attraversa il panorama di “case e aziende, case e aziende” che ben conosce: così è tutta la campagna veneta dove vive, popolosa e operosa. Lui stesso vi contribuisce da quando
con suo padre ha trasformato il forno di famiglia, nel centro di Borgo San Bartolomeo, in una piccola azienda dolciaria.
Alla ditta e ai figli Achille intende dedicare ogni suo giorno. È uno tutto d’un pezzo, un uomo di destra pervaso però da un senso di responsabilità di marca socialista nei confronti di chi lavora per lui: i dipendenti sono parte della famiglia. È con loro che Achille escogita il modo più bello di festeggiare la notte in cui i suoi figli sono nati: una nuova merendina a forma
di stella cadente, la Tortina San Lorenzo, destinata ad avere grande successo. Achille già immagina Francesco e Gloria che crescono mangiando quei dolci genuini, che diventano bimbi paffuti, adolescenti sereni, studenti d’eccellenza pronti a prendere in mano le sorti della ditta.
Dagli anni Ottanta a oggi le vite di Achille e Nora, di Gloria e Francesco e di tutta la comunità che li circonda vengono narrate come in un album di fotografie, pieno di luci, di sorrisi e di ombre. Nulla, o quasi, sarà come Achille lo aveva previsto.
Che cosa potrà succedere quando Francesco mostrerà più interesse per l’imperatore Giustiniano che per la “San Lorenzo srl”? E quando Gloria, all’ultimo anno di liceo, si innamorerà di un affascinante ragazzo di sinistra? O quando l’azienda si troverà ad affrontare gli anni della crisi?
Chiara Passilongo esordisce con un romanzo maturo, vasto, sorretto da una scrittura semplice e precisa, capace di intrecciare i fili delle storie di un’intera comunità e di narrare in modo potente un angolo della nostra provincia – il profondo Nordest – che diventa la lente speciale attraverso cui rivivere gli anni più recenti e meno gloriosi della nostra storia.
Lontano da interpretazioni ideologiche e, al contrario, con partecipazione e con un po’ di malinconia.
L’ascesa e la caduta dei Vicentini disegnano la parabola di un Paese intero, ci raccontano le speranze e lo sgomento di una generazione di padri e soprattutto di figli, a cui viene consegnato un mondo che appare irrimediabilmente fragile: ma insieme lasciano
intravedere con forza, sotterraneo eppure ostinato, il filo luminoso del bene, della fiducia che i desideri espressi in una lontana notte d’estate possano avverarsi se non ci arrendiamo.

Chiara Passilongo è nata nel 1981 e vive a Verona. Laureata in Odontoiatria, lavora come dentista. Ha frequentato la scuola di scrittura Palomar di Mattia Signorini a Rovigo. Questo è il suo primo romanzo.

Promozione interessante della Mondadori. Per gli amanti dei gialli e di Agatha Christie in particolare, fino al 19 luglio comprando un giallo di Agatha Christie in ebook ne puoi sceglierne un altro da ricevere in regalo.
Quasi tutti i titoli di Agatha Christie sono stati digitalizzati e arrichiti con nuove copertine.
Immergersi nelle inchieste di Poirot  in una serata d’estate, durante il viaggio che ci porta in vacanza o quando si ha voglia di una storia che cattura e tiene incollati alla pagina, senza stress e truculenze, è l’ideale per godere di un piacevole relax.
Personalmente, per iniziare consiglio due titoli: il primo romanzo giallo di Agatha Christie, Poirot a Styles Court, in cui appare per la prima volta Hercule Poirot, ex funzionario della polizia belga ritiratosi dall’attività. L’idea di questo suo primo romanzo giallo venne all’autrice lavorando in un’ospedale, durante la Prima Guerra Mondiale, come assistente nel dispensario a contatto con i veleni.

Agatha Christie, Poirot a Styles CourtGeneri Romanzi e Letterature

Editore Mondadori

Formato Ebook con Adobe DRM

Pubblicato  12/04/2013

Lingua Italiano

EAN-13 9788852034626

Prezzo: 6,99
Dalla quarta di copertina

Durante la Prima guerra mondiale un giovane ufficiale inglese ferito al fronte viene ospitato da un vecchio amico nella sua residenza di campagna. Il soggiorno nella lussuosa dimora sarà però tutt’altro che tranquillo. La padrona di casa, matrigna dell’amico, ha sposato un uomo di vent’anni più giovane di lei, e i figliastri, scavalcati nell’eredità, sembrano tramare qualcosa. La governante è sicura che presto gli avvenimenti precipiteranno e, in breve, la profezia si avvera. La padrona di Styles Court viene avvelenata e i sospetti si accentrano subito sui membri della famiglia. Fortunatamente, nel paese c’è qualcuno che di delitti se ne intende: un buffo profugo belga dai grandi baffi…

Non possono poi mancare gli altri due famosissimi romanzi gialli della scrittrice inglese:

Agatha Christie, Dieci piccoli indiani        Dieci piccoli indiani e Trappola per topi        Agatha Christie, Trappola per topi

A chiudere le molteplici avventure di Poirot, l’ultima inchiesta dell’arguto ex poliziotto belga, Sipario, l’ultima avventura di Poirot.

Agatha Christie, SiparioGeneri Gialli Noir e Avventura

Editore Mondadori

Formato Ebook con Adobe DRM

Pubblicato  23/06/2015

Lingua Italiano

EAN-13 9788852066283

Prezzo:  6,99
Dalla quarta di copertina
Sipario, l’ultima avventura di Poirot Dopo cinquantacinque anni l’anziano Hercule Poirot torna a Styles Court, il luogo in cui aveva risolto il suo primo famoso caso di omicidio, ora trasformato in una raffinata pensione. E qui incontra il vecchio amico, il capitano Hastings, per rivelargli che tra gli ospiti si nasconde un assassino. Infatti, a dimostrare la tesi di Poirot, Styles Court viene funestata da un nuovo delitto, un omicidio così misterioso da far sospettare di tutti, persino della figlia di Hastings. Ancora una volta però il principe degli investigatori, nonostante una grave malattia, riesce a risolvere il caso. Sarà la sua ultima indagine.
L’autrice
Agatha ChristieAgatha Christie (Agatha Miller, Torquay, Inghilterra, 1890 – Wallingford, Inghilterra, 1976). Creatrice dei personaggi di Poirot e di Miss Marple, è la più celebre giallista al mondo e una delle più prolifiche scrittrici di ogni tempo: le sue opere sono tradotte in più di cento lingue. Oltre ai gialli ha scritto anche testi teatrali (tra cui Trappola per topi) e, con lo pseudonimo Mary Westmacott, romanzi d’amore.
Giusi R.
Oggi è il grande giorno atteso da tutti gli amanti delle sfumature: arriva  nelle librerie l’attesissimo Grey, Mondadori, ovvero le 50 sfumature di grigio dalla parte di lui .
L’autrice E L James a giugno ha pubblicato sul suo profilo Instagram @erikaljames la copertina del nuovo capitolo della saga: il particolare di un occhio maschile che pone l’accento su un diverso punto di vista che svelerà (forse) il mistero del tenebroso Christian Grey.
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Se volete, potete leggere il primo capitolo a questo link:
Lascio a voi il giudizio e la scelta, perchè il lettore ha sempre il diritto di scegliere!

Giusi R.