Posts contrassegnato dai tag ‘Opera aperta’

di Giusi Radicchio

Sfogliando i giornali cartacei ed elettronici mi è capitato, in questo mese di maggio, di leggere più di un titolo che ricordava il Maggio Francese del 1968, mese che vide la nascita della rivolta della gioventù studentesca.

chansons des filles de mai, Alba De Céspedes

Quando nel 1968 Alba De Céspedes, conosciuta e affermata in Italia, si trasferisce definitivamente a Parigi, è già pregna della cultura e della lingua francese, avendo in precedenza vissuto a lungo in Francia con la zia paterna. Legata agli intellettuali parigini, stringe un rapporto di fiducia particolare con le Éditions du Seuil, che diventa il suo editore francese. Vive nel Quartiere Latino e la ventata del movimento giovanile, che prende il via nel marzo del 1968, l’affascina in modo intenso, tanto da rinnovare la vena poetica interrotta nel 1936 quando aveva dato alle stampe la sua ultima raccolta di poesie, Prigionie. Nasce così nel 1968 Chansons des filles de Mai, raccolta pubblicata prima in lingua francese, in seguito in Italia, nel 1970, da Mondadori con il titolo Le ragazze di maggio. La raccolta è tradotta dalla stessa De Céspedes che in questa opera mette in luce la personalità delle giovani figure femminili protagoniste di quella rivolta, a cui l’autrice assiste quotidianamente. Queste poesie della maturità, e degli anni della sperimentazione narrativa, tendono con naturalezza alla prosa, rispecchiando nelle canzoni l’eroismo delle ragazze di maggio.

Di seguito l’introduzione di Alba De Céspedes al “poema” come lei chiama Le ragazze di maggio.

Le ragazze di maggio, Alba De CéspedesDurante i mesi di maggio e giugno 1968, mi trovavo a Parigi, in uno studio di rue de Tournon, sulla rive gauche, a due passi dalla Sorbona, da Saint-Germain-des-Près, nel quartiere dov’è scoppiata la rivolta degli studenti e dove avevano luogo i loro scontri con la polizia. Lavoravo al mio nuovo romanzo, e ho l’abitudine di lavorare di notte; ma, dai primi di maggio, il silenzio notturno era lacerato da scoppi di granate, da detonazioni, da grida, dal rumore di passi in fuga, che mi distraevano dal mio libro. Non facevo altro che seguire ciò che accadeva attorno a me: rimanevo per ore al transistor, ascoltando le notizie che i radiocronisti trasmettevano direttamente dal Quartiere Latino.
Di giorno uscivo, mi recavo alla Sorbona, all’Odéon, assistevo ai dibattiti, alle riunioni, e lì come nelle strade devastate, disselciate, ingombre di automobili carbonizzate e puzzolenti di gas, incontravo i giovani rivoluzionari, li interrogavo, li spingevo a parlare. Più loquaci, le ragazze divenivano ai miei occhi le protagoniste di quella rivolta che fu il primo segno spontaneo e inequivocabile della lotta che sta cambiando la nostra società; forse perché la donna per sua natura esprime con passione le proprie idee, i propri sentimenti, e affronta con una sorta di eroismo ogni vicenda della propria vita.
Quelle notti, quei giorni, quegli incontri, di cui a tutta prima volevo soltanto prendere nota, in italiano, nel mio diario, si sono invece presentati a me come momenti di un unico poema, che mi è venuto naturale scrivere nella lingua, anzi con le stesse parole, di coloro che lo hanno vissuto; e che oggi ho riscritto in italiano.

Il Maggio francesePer caso, proprio a ridosso di quelle letture, ho ritrovato un articolo in cui Elsa de’ Giorgi recensiva la raccolta poetica di Alba De Céspedes, Chansons des filles de mai, dedicata alla ragazze parigine e alla loro lotta.

Alba De Céspedes, Chansons des filles de mai, aux Éditions du Seuil.
Recensione di Elsa de’ Giorgi.
Da «Opera aperta» n.15-16 anno V, agosto 1969.

Était la bûcher de cette liberté
a paier
de mai? Ou était-ce
simplement l’aurore?
Javais peur
de me le demander

Questo è il senso più profondo di queste belle canzoni poetiche di Alba de Céspedes. Esse meriterebbero di esser musicate in una marcia franca e giovane per entrare nelle orecchie e nel cuore di quei ragazzi infrolliti dalle canzonette di S. Remo. Sono una reazione di giovanile speranza, di lealtà, di saggia e mesta ribellione all’ordine ipocrita delle ipocrite democrazie. C’è il ribrezzo della forza bruta costituita, il sentimento della libertà come fede proibita: la trepidazione di portare la libertà al di sopra delle ipocrisie delle strutture.
Non a caso queste belle canzoni più che poesie sono scritte da una donna che come Alba de Céspedes ama e rispetta la vita. Rispetta soprattutto il tremendo impegno a viverla così degenerata da falsi socialismi come l’abbiamo consegnata ai giovani.

Nos garçon sont grands et maigres,
ils ont des bountons,
des mains rouges,
des bras ballants,
et des cheveux longs longs

Ce n’est pas toujours facile
avec eux;
ils sont seuls, silencieux
ils n’arrivant jamais ponctuels
aux rendez-vous.
Ils arrivent, pourtant,
ils ne peuvent se passer de nous:
c’est ça l’important.

Questo è l’importante. Che essi arrivino anche se non puntuali. La puntualità è un elemento burocratico. Essi non lo possiedono.
Per questo si pensa che la loro rivoluzione sia fallita, vinta dall’ordine costituito, di destra e di sinistra, che nel maggio scorso in Francia si è dato la mano. Ma essi arriveranno, proprio quando si sarà persa la speranza di vederli arrivare. Perché arriveranno senza violenza. Nella loro disperazione di noi, dei nostri sistemi, sta la loro speranza e la nostra in loro.
Alba è una donna. E solo una donna intellettuale può capire i giovani. Non la fisiologicità delle madri intontolite di sonno borghese e fede nel benessere.
Alba, come già Elsa Morante nel “Mondo salvato dai ragazzini”, sente che nei capelli allungati dei ragazzi, nella loro diffidenza e ribellione al mondo com’è, è la speranza.

Aurora o semplicemente un cielo
[rosato dal maggio?]
«Mais les femes-ont le coeur
[Plus grand»]

E i ragazzi hanno bisogno di essere amati dalla madre anche se si incontreranno con lei, senza darsi niente, sfiorandole la mano e poi riprenderanno un cammino differente.

Je t’aime, mère,
Comme nous pouvons aimer
Aujourd’hui:
Sans émotion et sans merci.

Queste madri anche quelle dei “gars” non sanno ancora (e forse non ha importanza che lo imparino perché per loro è troppo tardi ed è inutile preoccuparsi di fare una educazione ai padri e alle madri, questo è inutile) quello che importa è che i ragazzi e le ragazze pensino allo stesso modo e tutti insieme sappiano che il sangue dei neri dei gialli dei bianchi è uguale e forse bisognerà versarlo insieme dietro le barricate perché quelli di là, i poliziotti, tra cui ci sono le madri, i padri lo vedano insieme e capiscano che è idiota farlo versare: perché è il sangue dei loro figli, delle loro ragazze.

«Io vorrei scrivere poesie la/
sera/
ma non posso. Mi fanno tradurre i testi/
Pubblicitari/
di una crema di bellezza/

E ho paura di abituarmi/
ad andare aventi così/
fino alla morte».

È la pietà per questi giovani il tema quasi straziante dei canti della De Céspedes: un tema d’amore e cioè d’intelligenza. E con l’intelligenza d’amore andrebbero meditati. Ne consiglierei la lettura a tutti i politici di ogni parte del mondo, la dizione ad alta voce nelle scuole, nelle caserme, nei parlamenti e ove non ci sono parlamenti , ci sia il canto per le strade ad accompagnare il tragico fumo dei Bonzi di Praga.
Migliaia di congressi in ogni paese del mondo ci danno ogni giorno triste certezza della umana ipocrisia e dell’indifferenza di chi detiene il potere e, per l’opportunità di mantenerlo, finge interessi che non ha: una donna poeta e civilissima è riuscita a farci piangere d’intelligenza e di rimorso per i problemi di una generazione della quale non sappiamo immaginare l’avvenire e alla quale vogliamo impedire di immaginarlo diverso da un presente che ci ripugna e da un passato che ci eravamo vantati di avere rinnegato.